Crisi del debito e tutela del patrimonio

Crisi del debito e tutela del patrimonio

Con la L. 3/2012 il debitore civile o l’impresa non fallibile possono accedere alle procedure al piano del consumatore, all’accordo con i creditori (o miniconcordato) o alla liquidazione del patrimonio, per superare la crisi del debito. È indubbio che per la prima volta in Italia esiste una legge che tende a favorire una seconda possibilità al debitore in crisi, seguendo il ben più consolidato principio anglosassone del fresh start.

La figura del creditore, seppur determinante ai fini del voto nell’accordo, o mini concordato, non appare centrale e indispensabile nelle altre procedure, considerando che il piano del consumatore viene omologato senza il voto dei creditori, i quali possono svolgere delle osservazioni alla proposta svolta dal debitore, su questioni di legittimità e non in merito. Anche la procedura di liquidazione, ai fini dell’ammissibilità, la legge non prevede come necessario l’intervento dei creditori, considerato il massimo sforzo del debitore che si impegna a soddisfare i creditori con tutto il patrimonio.

Anche nell’accordo o mini concordato, seppur il voto dei creditori è centrale ai fini della omologa, la procedura ha previsto delle deroghe a favore del debitore, ai fini del raggiungimento del quorum richiesto del 60%. il voto favorevole.

Vale la pena evidenziare quella che per chi scrive appare una rivoluzione nell’ambito delle procedure concorsuali, prevista all’art. 12 co. 3 quater, che prevede: “Il tribunale omologa l’accordo di composizione della crisi anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 11, co. 2, e quando, anche sulla base risultanze dell’organismo di composizione della crisi, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione è conveniente rispetto all’alternativa liquidatorie”.

Prima di oggi non vi era alcuna possibilità di definire la posizione del debitore, nell’ambito concorsuale, che prescindesse dal voto favorevole del creditore. Orbene, dall’ultima modifica della L. 3/2012, il giudice disattende il voto negativo dell’amministrazione finanziaria ai fini dell’omologa dell’accordo.

Volendo spingerci oltre nell’interpretazione teleologica della norma, si può sostenere la possibilità per il giudice di omologare l’accordo anche nel caso sia proposto dal debitore il pagamento delle rate a scadere secondo l’originario piano di ammortamento, ai sensi dell’art. 8 co 1 ter e 1 quater, senza il voto favorevole del creditore. Infatti, la concessione della norma sarebbe superflua se fosse subordinata al voto del creditore. Quindi, si può dire che se il debitore propone il pagamento nelle modalità previste, anche se non espressamente indicato dalla norma, per analogia il giudice omologa l’accordo senza la possibilità del creditore di esercitare il voto sul punto, o per di più, anche se il creditore esprimesse voto negativo.

Solo pochi cenni alla norma evidenziano quale prerogative siano concesse al debitore, con l’obiettivo dichiarato dalla stessa norma di poter superare la crisi del debito, alle condizioni economiche e patrimoniali in cui versa il debitore, anche a prescindere dalla posizione del creditore..

Nonostante la forza della L. 3/2012 a sostegno del debitore nel superamento concreto della crisi del debito, ancora oggi, dopo otto anni dall’entrata in vigore, pochissime procedure vengono introdotte in tribunale a tutela dei debitori. Solo un dato per rendere l’idea del fenomeno, alla data di stesura del presente articolo, non sono state iscritte a ruolo al Tribunale di Roma più di 30 procedure.

Le difficoltà generali della crisi economica, mai superate, aggravate dalla crisi pandemica in atto, dovrebbero aver messo in campo tutte le soluzioni per scongiurare il default e dare la possibilità ai debitori di ripartire. Invece, lo strumento che per legge permette di bloccare i pignoramenti immobiliari e mobiliare, stralciare i debiti di qualsiasi natura e valore, quelli fiscali anche contro la volontà del creditore, non viene utilizzata.

Non esiste strumento tecnico giuridico che permetta al debitore di poter prevedere un nuovo piano di ammortamento del mutuo della propria casa pignorata, da un lato, perché il creditore ha diritti che impediscono al debitore di sospendere la procedura esecutiva, se non in casi eccezionali; dall’altra, la banca non potrebbe mai rinegoziare il mutuo all’esito del pignoramento, in quanto il debitore è pregiudicato dalle segnalazioni in Centrale Rischi che impediscono alla banca qualsiasi rinegoziazione del debito.

 

Dopo una prima chiusura della giurisprudenza, la Cassazione, con la sentenza 17834/2019, ha aperto alla possibilità per il debitore di proporre un pagamento dilazionato del debito ipotecario, anche in caso di pignoramento, ben oltre 1 anno previsto dalla originariamente dalla giurisprudenza. Nella sentenza citata il debitore ha usufruito di 17 anni per poter ripagare il debito, nonostante fosse pendente un’azione esecutiva immobiliare.

E allora perché questo strumento così potente non viene utilizzato per superare la crisi del debito? Perché non è così diffuso tra i debitori il diritto ad avere una seconda possibilità? Perché i professionisti incaricati dai debitori non fanno ricorso a queste procedure che garantiscono gli strumenti per superare concretamente la crisi del debito?

Queste sono domande a cui si è più volte tentato di dare risposta, e la risposta a cui si è arrivati è di duplice natura: la prima di carattere tecnico procedurale, la seconda è un problema culturale.

In ordine alla prima, si evidenzia la difficoltà per il debitore di accedere autonomamente alla procedura. La norma prevede che il debitore possa proporsi ad un OCC, Organismo di Composizione della Crisi, e condividere le possibilità di soluzione della crisi del debito. Questa previsione normativa si scontra nella realtà in due punti: primo, il debitore non è in grado autonomamente di proporsi ad un OCC. Non si dimentichi che spesso il debitore è in una situazione di grande difficoltà, non solo economica, ma emotiva e relazionale. Molto spesso prova vergogna per la sua situazione e non riesce a prendere decisioni lucide sulla questione che gli condiziona l’esistenza. Ma anche se riuscisse ad accedere all’OCC, questi ultimi, non sono organizzati per sostituire il debitore e procedere alla preparazione della pratica da portare in Tribunale. Mi riferisco alla raccolta documentale e alla preparazione della proposta, rimandando al debitore di procedere autonomamente a tale adempimenti, generando così un corto circuito in cui la pratica si ferma, a meno che il debitore non si rivolge ad un professionista preparato ed in grado di supportarlo in tutte le incombenze.

Sotto altro profilo, il motivo per cui queste procedure, c.d. di sovraindebitamento, non decollano, è di natura culturale.

Quando si presentano i possibili benefici che la L. 3/2012 può concedere al debitore, la prima reazione è di incredulità e diffidenza, dovuta dalla storia del nostro diritto commerciale e fallimentare. Il debitore non ha mai avuto alcuna prerogativa nella soluzione del debito. Il creditore ha sempre e comunque visto tutelato in modo assoluto il suo diritto di credito. Oggi, le possibilità del debitore di risolvere il problema del debito in termini concreti, anche con il dissenso del creditore, appare illusoria, ai più distratti una fake news.

Questo atteggiamento di diffidenza non è una prerogativa dei debitori, abituati a subire, consapevoli di non avere possibilità di soluzione, ma anche un atteggiamento costante, e purtroppo oggi prevalente, anche dei professionisti, i quali anziché approfondire e piegare la norma alla soluzione del problema, la ignorano. Non ci dimentichiamo le sole 30 pratiche iscritte a ruolo al Tribunale di Roma nei primi 6 mesi di quest’anno, ove operano 25.000 avvocati.

Credo che sia giunto il momento per tutti per iniziare a condividere il principio su cui si basa la legge, e prima di essa i principi che l’hanno ispirata: il creditore non è più l’unico soggetto tutelato nelle procedure concorsuali. Oggi viene tutelato prima del creditore l’impresa debitrice, come soggetto economico meritevole della possibilità di rimanere sul mercato. La distruzione dell’impresa a favore dell’esclusivo diritto del creditore genera meno benefici della permanenza dell’impresa sul mercato a discapito di parte del diritto del creditore.

Lo stesso principio vale per i soggetti non fallibili. Un soggetto espulso dalla società poiché indebitato in modo irreversibile, è una perdita per tutta la società. La scelta di comprimere i diritti del creditore a favore del recupero dei debitori, affinché riprendano a vivere nel tessuto economico e sociale, è l’interesse generale tutelato e ritenuto prevalente dalla L. 3/2012.

È indubbio che questo nuovo punto di vista nella soluzione della crisi del debito porterà senz’altro benefici alla classe dei debitori che intende rimettersi in gioco, nonché ai professionisti che guarderanno le procedure di sovraindebitamento come strumenti imprescindibili a tale scopo.